Chi siamo
“Dal 1945 offriamo un’atmosfera famigliare, un ambiente confortevole e buona tavola”
La Famiglia Cesana
NEL ’45 NACQUE LA CAPANNA DI LURAGO D’ERBA.
COME L’ACQUA SI MUTÒ IN VINO.
Articolo pubblicato su “La Provincia”, Lunedì 21 marzo 1994
LURAGO D’ERBA – È il 1946, l’anno zero della ricostruzione italiana, dopo gli orrori, i lutti e le macerie della guerra. Anche Lurago d’Erba entra in quel giro virtuoso della ripresa. Proprio nelle campagne di questo comune brianzolo (che vide a pochi chilometri gli ultimi disperati bagliori della resistenza tedesca, con fucilazioni in massa), proprio qui lungo le campagne che digradano verso Monguzzo e la grande Cementeria di Merone, lavora giorno e notte una fornace che sforna mattoni dietro mattoni: serviranno per rifare Milano e tutte le zone colpite dai feroci bombardamenti a tappeto che hanno messo veramente in ginocchio la Repubblichetta di Salò. Alla fornace di laterizi lavorano veneti e lombardi giunte da varie zone delle due Regioni. La produzione va dalle stelle alle stelle, come si diceva allora. La fornace e quell’ altra prossima di Monguzzo sono lontane dai paesi, isolate nella campagna. Questa gente soffre il caldo e la sete…
La Sete
I paesi hanno una rete idrica bastante a malapena alle esigenze dell’epoca, e nelle corti, vicino all’altarino con i fiori di campo c’è sempre il pozzo, che da curiosamente acqua più calda d’inverno e più fresca d’estate. Oppure è solamente un’impressione. Dopo le ristrettezze belliche anche l’acqua è qualcosa di veramente buono, francescanamente. I fornaciai però, a causa del lavoro, la sete la soffrono veramente, lontani da casa, e isolati nella campagna di Brianza. Nelle vicinanze c’è però una cascina: è una di quelle vecchie case rurali della zona, con il lobbiato in alto, l’aia a pian terreno dove essicca il grano o il “carlone”. Alla sera si riuniscono i contadini e dopo il lavoro dei campi, parlano di tutto; le mani però continuano a lavorare e sfornano quei tipici canestri di giunchi e di vimini in cui i luraghesi sono veramente artisti. Ebbene, alla ricerca d’acqua i fornaciai approdano proprio a questa cascina dove c’è un contadino, Cesare Cesana, il quale offre loro l’acqua che una giornata al calore della fiamma ha veramente fatto sognare come un miraggio. Poi da cosa nasce cosa. Non di sola acqua vive l’uomo, e così parte qualche richiesta più azzardata: un bicchiere di vino, il chiaretto delle colline moreniche tra Como e Lecco, e se possibile, anche qualche boccale di vino che ricordi quello di casa…
Nasce la Capanna
Nasce così la primitiva “Capanna”, con i Cesana dotati della licenza del Cral aziendale della fornace Laterizio: i fornaciai hanno una speciale tessera e possono quindi entrare dal Cesare e bere il vino. Poi viene la licenza per vini da asportarsi; la carta parla chiaro. Si possono acquistare damigiane, fiaschi, bottiglioni, bottiglie di vino, oltre alla mescita in loco.L’anno appresso viene anche la licenza di osteria per tutti, con la possibilità sui tavolini della capanna di gustare anche qualche tagliata di salame o di mortadella brianzola, e pancetta. Infine l’ultimo salto: nel 1948 l’osteria passa al rango di trattoria con le specialità tipiche della Brianza. Dal 1948 a oggi tanta acqua è passata sotto i ponti del Lambro, al padre Cesare sono subentrati nella gestione i figli Riccardo e Antonio, i quali mandano avanti l’esercizio. Con Antonio interviene anche la moglie Rita e l’osteria dei fornaciai di una volta diventa un luogo frequentato anche dai contadini della Brianza, dai cacciatori e da qualche villeggiante milanese della domenica, memore ancora d’altri tempi quando in questo piccolo colle c’ erano le pesche più gustose del mondo, cantate in dialetto meneghino nientemeno che da Carlo Porta.
La Capanna Oggi
Poi alla vecchia Capanna negli anni Sessanta se ne affianca leggermente più in alto, una più nuova. Immutato il trattamento però, e la genuinità dei piatti. I primi e i secondi sono quelli di sempre: la cazzuola con la polenta, le zuppe di verdura, la busecca alla brianzola, lepre in salmì, coniglio alla cacciatora, le insalate fresche di stagione, gli arrosti e il lesso, poi il risotto con i funghi e la luganega, e le minestre di riso e di pasta, nella tradizione lombarda. Dal ’66 al ’93 la Capanna è nella nuova sede, poi da quest’anno il locale torna all’antica sede. Ampliata e più capiente, ma sempre li dove i primi fornaciai la vedevano quasi come un miraggio nel deserto cocente. Nel frattempo anche alla seconda generazione si affianca la terza: sono però tutti della famiglia Cesana. “Certo – ci dice Cesare, uno di loro – oggi nei saloni curiamo anche piatti nuovi come scampi e gamberoni, risotti ai gamberetti o agli asparagi, ma la tradizione noi intendiamo mantenerla sempre. Siamo brianzoli e vogliamo tenere viva la nostra usanza. Curiamo anche la produzione, locale. E in più posso dirle questo. Se altri locali si vantano di avere avuto illustri personaggi tra i loro frequentatori, noi siamo orgogliosi di impastare la rossa terra d’argilla. È il nostro blasone”.
Giandomenico Clerici